ARCHEOLOGIA A VEGLIE
 

VEGLIE. LE ORIGINI, IL NOME

 

 di Lorenzo Catamo

 

 

                                       

 

"Il problema delle origini affascina da sempre gli storici di professione e tutti quelli che si dilettano di ricerche storiche.
Ma, mentre è facile ricostruire le vicende relative alla nascita di grandi città, non è altrettanto semplice districarsi tra le spesso fantasiose congetture che gli studiosi locali hanno messo in piedi per dare nobiltà di origini alla loro piccola patria.
E', ad esempio, opinione comune ed acriticamente accettata che Veglie sia stata fondata nel X secolo dai Greci di Bisanzio.
La fonte è autorevole e mai nessuno ha minimamente pensato di confutarla. Nel suo Descrizione, origini e successi della Provincia d'Otranto, agli inizi del Seicento, l'illustre medico Girolamo Marciano (che era di Leverano, ma che a Veglie visse sposando Diamante Miccoli ed avendovi quattro figli), scrive: "Veglie, detta Veglia o Velia, piccola terricciuola ingrandita alquanto a' nostri tempi di borghi, è situata sopra un piccolo poggetto, circondata l'inverno da molte paludi, dalle quali ella ha ottenuto il nome. Fu edificata dai Greci nel tempo di Niceforo Imperatore verso gli anni di Cristo 965, e si accrebbe col tempo di territori ed abitanti dei distrutti casali di S. Venia e di Bucidina a se convicini".
Ma il Marciano, pur autorevole, non cita le fonti delle sue notizie storiche che sembrano ricalcare quelle ben più documentate della distruzione di Taranto ad opera di orde saracene e della sua ricostruzione che ebbe luogo proprio in quegli anni in cui si vuole fondata Veglie.
Una serie di scoperte successive ci porta, però, a pensare che l'origine della nostra cittadina sia molto più antica.
La particolare posizione strategica di Veglie, in antico ed attualmente al centro di un fitto reticolo viario nel cuore della Messapia ed oggi del Salento, aiuta certamente a ritenere che le origini sono da ricercarsi andando molto più a ritroso del X secolo dopo Cristo.
Infatti, pur nella piattezza della pianura salentina, non vi è chi non si accorga, ancora oggi che Veglie si è estesa in misura eccezionale, come il nucleo storico del paese sia posto sul punto più alto di un piccolo rilievo che consentiva, in antico, di dominare in qualche modo la pianura circonvicina. E questo nucleo storico dista appena duecento metri dalla zona di un ritrovamento archeologico, avvenuto nel 1957, il cui materiale è ben visibile nel Museo provinciale di Lecce. (Foto 1, 2, 3, 4)
Nella tomba del IV secolo avanti Cristo, attribuibile alla civiltà messapica, furono rinvenuti un cratere apulo di pregevole fattura, una oinochoe, uno strigile ed una scodella rustica a testimonianza di una sepoltura maschile appartenente a persona di rango elevato; mentre indizi non trascurabili rendono certa la presenza di una necropoli attorno alla tomba stessa
(nota 1 e nota 2).
Conoscendo i sistemi di sepoltura dei Messapi, tutto questo fa supporre che l'abitato sul cocuzzolo esistesse anche nel IV secolo avanti Cristo.
Ma quale era il suo nome ? Le domande che si pone l'appassionato molto spesso hanno bisogno dell'aiuto del caso per avere una risposta.
E certamente il caso deve essere aiutato dalla ricerca.
Avendo avuto notizia, tempo fa, dell'opera insigne del messapologo Francesco Ribezzo di Francavilla Fontana, ho avuto recentemente la fortuna di avere il testo che mi interessava dall'amico Giuseppe Negro.
Nelle Nuove ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum, edito nel 1944 a Roma dalla Reale Accademia d'Italia, si legge, nella nota 1 a pagina 27, a proposito della scarsa cura dei precedenti studiosi per la sopravvivenza dei termini premessapici nella toponomastica locale: infatti, invano si cerca una parola sulla sopravvivenza in quest'area marginale di tre voci di origine mediterranea come "mala=monte" albanese "mal", nel nome della Specchia di Monte Maliano (S. Pancrazio), probabilmente derivato da un tautologico Monte Malia (cfr. Monte-Tauro, Mongibello), nome tradizionale della specchia stessa, e nel nome di Maglie; "velia=altura", comune di tutta l'Italia centro-meridionale, nel nome di Veglie; "tula", etrusco "tule confine, monte di confine", significato di cui la critica mi riconosce l'acquisizione nel nome di "Tuglie".
Ed ancora, in modo più esplicito, a pag.168-169, Francesco Ribezzo scrive: "A sud di Lecce le vestigia di stazioni dell'età del bronzo e del ferro, combinate con quelli che alla scienza toponomastica dei nostri tempi paiono relitti di lingua mediterranea e col fatto che iscrizioni messapiche si rinvengono solo nelle aree urbane di Rudiae e Lupiae, stanno a significare che anche qui all'occupazione illirica delle città era sopravvissuto nelle campagne un certo numero di comunità rurali indigene. Significativi sono al riguardo i tipi poligonali delle mura di Cavallino, le tombe a forno e i tumuli di Vanze, i nomi di Lequile (cfr. sett. Lequio), Merine (cfr. ap. Merinum, ret. Meranum), Vanze (ital. e ill. Bantiae), Caulon (che insieme con Aulon si ripete anche sul litorale bruzio), Sybaris, Tàmari pal. (cfr. Tàmmarro f. e Tìmmari nel Materano) e le sopravvivenze di lingua mediterranea nei nomi di Maglie, Tuglie e Veglie. Doveva trattarsi di più antichi villaggi di Siculi ed Ausoni che, secondo la geografia omerica e la primissima tradizione italiota furono successivamente gli abitanti pre-japigi della regione e che dalle genti illiriche (i Messapi) militarmente meglio organizzate e insediatesi nelle città da se stesse fondate erano stati ridotti ad una condizione di soggezione civile e sociale e destinati alla lavorazione dei campi. Queste comunità rurali, a giudicare dall'assenza di necropoli con ceramica ed iscrizioni messapiche in tutto il territorio a sud di Lecce, pare che proseguissero a vivere chiuse nella loro lingua e nella loro cultura fin entro all'età storica".
Questo scrive Francesco Ribezzo e nulla di diverso aggiunge l'insigne geografo copertinese Domenico Novembre, di recente scomparso, quando, nel suo Ricerche sul popolamento antico nel Salento con particolare riguardo a quello messapico, edito a Lecce dalle Edizioni Universitarie Milella, scrive (nota 84 a pag.85): "A definire il popolamento messapico sarebbe utile inoltre conoscere il significato in epoca messapica di piccoli centri o nuclei pre-messapici come Maglie, Tuglie e Veglie e dei rapporti che tra essi e i centri messapici, noti attraverso le iscrizioni, si siano potuti stabilire (sui nomi Maglie, Tuglie e Veglie come sopravvivenze di lingua mediterranea vedi F. Ribezzo: Nuove ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum").
Appare chiaro, dalle autorevoli affermazioni del Ribezzo avallate dal Novembre, che le origini di Veglie possono farsi addirittura risalire al periodo pre-messapico, quando la nostra terra era popolata dai Siculi e dagli Ausoni.
La presenza di reperti archeologici corregge, però, in parte la congettura sull'isolamento culturale di questi centri.
E' probabile, invece, che Veglie si sia integrata nel tessuto messapico ed abbia avuto forti relazioni con Manduria, perché altrimenti non si spiegherebbe come, da tempo immemorabile, esista, nella toponomastica locale, la via per Manduria, centro posto a trenta chilometri da Veglie che, se è distante adesso con i moderni mezzi di locomozione, era addirittura lontanissimo quando gli uomini disponevano al massimo di un cavallo per spostarsi da un luogo all'altro.
E, ritornando al nome, perché non pensare che sia più intelligente chiamare una cosa (e perciò un paese) con il nome che gli compete e lo caratterizza e quindi Veglie da Velia=altura perché è posto su un piccolo rilievo e non con quello delle paludi che, un tempo, lo circondavano?
Certo, le mie sono congetture, ma il profondo studio della realtà antica del nostro paese mi fa comprendere che probabilmente non sono molto lontano dal vero.

Veglie, ottobre 2002


Lorenzo Catamo

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NOTE
   

1  Una ulteriore testimonianza della presenza messapica a Veglie

2  Veglie e la via Sallentina


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